
Per l’87% delle grandi organizzazioni “leader” il personale inesperto è il principale «cyber risk». Il dato, particolarmente preoccupante se consideriamo che la formazione degli addetti è tra i fattori che progrediscono più lentamente in relazione agli attacchi informatici, emerge dal rapporto «The Cyber Security Imperative» elaborato da Esi ThoughtLab in collaborazione con Willis Towers Watson e altre aziende specializzate in sicurezza e gestione del rischio.
L’impreparazione, ma anche la scarsa avvedutezza degli addetti, incute, dunque, più timore di malware e spyware, phishing e cyber criminali, mentre la percezione di una minaccia varia in funzione del livello di maturità dell’organizzazione in materia di cybersecurity.
Le aziende definite come “leader”, nello specifico, tendono a concentrarsi di più sui cosiddetti “hacktivist” (preferenza espressa nel 52% dei casi) e su minacce interne dolose (40%), mentre il 42% delle “principianti” è maggiormente preoccupato da azioni dolose esterne (al 42%) riconducibili a partner e fornitori.
I manager che appartengono alla prima categoria investono di più in cyber-resilience (procedure da attuare a valle di incidenti informatici) rispetto a quelli della seconda.
Corrado Zana, responsabile Cyber Risk Solutions di Willis Towers Watson per l’Europa Continentale, ha ricordato come la maggior parte degli incidenti di cyber security derivi da comportamenti errati del personale e da errori umani. «All’interno delle aziende – ha precisato in una nota – i leader investono ingenti risorse nella protezione dei sistemi informatici e nella gestione del rischio contro le minacce esterne, ma la formazione del personale, così come la cultura aziendale, giocano un ruolo di primaria importanza, più di quanto molti pensino. Per questo motivo, oltre a mitigare le minacce attraverso la tecnologia e il trasferimento del rischio, devono adottare una strategia di valutazione continua del rischio cyber».
Una valutazione che deve considerare persone, processi e tecnologia.
Fonte: Federprivacy