Ripresa video dipendente che ruba non viola privacy
Non si commette violazione della privacy nel riprendere un dipendente che ruba. L’ultima sentenza della Cassazione in materia di controllo del lavoratore e riservatezza (sentenza numero 3045 del 6 febbraio 2025).
Le legittimità delle riprese – La Corte di Cassazione ha ritenuto che le riprese fossero finalizzate alla tutela del patrimonio aziendale, e non al controllo diretto dell’attività lavorativa, nel pieno rispetto dell’articolo 4, legge 20 maggio 1970 n. 300, come modificata dall’articolo 23 d. lgs. 23/2015. Scrivono i giudici: “le telecamere erano state installate nel piazzale esterno dell’azienda, cioè in un’area aperta al transito di soggetti esterni, e non in locali interni riservati ai dipendenti. Dunque, l’uso della videosorveglianza era destinato alla sicurezza e protezione del patrimonio aziendale, come prescritto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 10636/2017)”.
La selezione delle immagini – In tali circostanze l’azienda deve nominare un responsabile del trattamento interno od esterno alla stessa, che provveda alla visione e selezione delle immagini, e che deve avere cura di selezionare, isolare e consegnare all’avente diritto le sole riprese pertinenti, non eccedenti ed indispensabili al raggiungimento della finalità per la quale sono state eseguite. In nessun caso le riprese possono essere utilizzate per contestare la qualità e/o quantità della prestazione lavorativa.
Nessuna violazione privacy – Il lavoratore non era specificatamente controllato, ma semplicemente investito dal raggio d’azione delle telecamere mentre svolgeva operazioni di carico all’esterno. “I giudici di merito, pertanto, hanno correttamente escluso lesioni della privacy dei lavoratori e ravvisato la proporzionalità del mezzo, giacché le riprese erano effettuate in aree visibili e accessibili al pubblico, senza ingerenze nella sfera privata del lavoratore”. Ad ulteriore conferma della liceità dell’attività posta in essere dall’azienda, i giudici hanno anche richiamato il principio espresso dalla CEDU – Grande Camera nella sentenza del 17 ottobre 2019, ricorsi n. 1874/13 e 8567/13, secondo cui il “livello di privacy è minore negli spazi di lavoro aperti al pubblico rispetto agli ambienti strettamente personali”.
La Cassazione – nel richiamare la giurisprudenza in materia di controlli difensivi – ha valutato legittime le videoregistrazioni effettuate dall’azienda, in quanto dirette alla tutela del patrimonio aziendale e non al controllo delle prestazioni lavorative. La sanzione espulsiva è stata ritenuta proporzionata rispetto alla gravità della condotta contestata, ossia la sottrazione di beni aziendali eseguita volontariamente ed in modo reiterato, giacché tale comportamento inevitabilmente compromette il rapporto fiduciario tra le parti.
Fonte Federprivacy


